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Un esempio di “guerrilla marketing”.

GUERRILLA E NEUROMARKETING: Nuove e (talvolta) discutibili frontiere del marketing

19.02.2011

Si calcola che a un consumatore, se un volesse provare tutti i prodotti oggetto di campagne pubblicitarie in una città media europea, occorrerebbero più di 820 anni; nel 1980 chi voleva acquistare un’auto poteva scegliere tra 520 articoli: oggi la scelta si può fare tra più di 2.000 proposte.

Anche Internet non è da meno: ogni 39 secondi un nuovo banner pubblicitario si alterna su Yahoo.com, per un totale di 2.200 messaggi al giorno.

Un’ora trascorsa in un supermercato per fare la spesa della settimana ci espone a più di 10.000 messaggi pubblicitari, un’ora di tv a più di 40; negli Stati Uniti ogni giorno un individuo è sottoposto a 3.000 spot, per una spesa globale annua di 300 miliardi di dollari: molto spesso, sono soldi buttati al vento, in quanto non lasciano traccia né conscia né subconscia nel povero consumatore.

Ed i risultati di questa inflazione comunicativa si vedono dai numeri: degli oltre 25.000 nuovi prodotti introdotti (e debitamente pubblicizzati) annualmente sul mercato nei sei principali Paesi europei occidentali solo il 6 % può considerarsi a tempi lunghi un successo, mentre un terzo circa di essi dopo un anno è già sparito dal commercio.

Come si esce da questo circolo vizioso, dove più si spende e meno si è notati? Una delle vie percorse è stata quella di studiare una comunicazione diversa dagli abituali stereotipi, per esempio far leva sulle emozioni (dove c’è un certa marca di pasta, lì c’è la propria casa) più che sui contenuti, oppure sugli aspetti etici che l’acquisto di un certo prodotto comporta (compra queste caramelle, aiuterai il WWF): sono tecniche ancora adesso ampiamente adottate e, se correttamente utilizzate, danno risultati convincenti.

Ma non è questa l’unica soluzione: sempre nel campo della comunicazione emozionale, si sta ricavando una nicchia interessante un nuovo stile di messaggio, il cosiddetto “guerrilla marketing”: in tempi di eccessi (sport estremi, terrorismo estremo, prezzi estremi in alto e in basso) c’è chi pensa anche al marketing estremo e alla controcomunicazione. Spesso le aziende che seguono queste filosofie cercano di copiare le controculture comunicative dei militanti no global per ottenere il massimo di visibilità col minor costo possibile: ne deriva un marketing aggressivo, martellante ed invadente, che talvolta sfiora i limiti del codice penale addirittura comunicando il falso pur di far parlare di sé.

Alcuni esempi? Innanzitutto i falsi prodotti innovativi: una notissima azienda di lingerie ha annunciato la nascita di un reggiseno che fa smettere di fumare la donna che lo indossa; una altrettanto famosa ditta produttrice di valigie ha comunicato di aver messo a punto un modello a motore che segue il proprietario come un cane, guidato dalla frequenza della voce; per finire all’acqua disidratata presentata on line da un’azienda californiana.

Sono tutte provocazioni, ma talvolta il pubblico viene tratto in inganno e comunque sull’argomento si instaura un dibattito che porta notorietà al marchio; caso emblematico, alcuni anni fa, quello del sito internet dell’Istituto Godsend, specializzato in clonazione umana, che dopo settimane di clamorose contestazioni si è rivelato inesistente e frutto di un’operazione tesa a pubblicizzare il film “Godsend” con Robert De Niro.

Di tutt’altro livello l’iniziativa di Ikea che ha creato una campagna di contropubblicità apparentemente promossa da un fantomatico gruppo “Elite Designers against Ikea” contro la popolarizzazione del design causata dall’Ikea stessa.

Ma le nuove frontiere della manipolazione del consumatore si estenderanno ben oltre a questi fenomeni che, è bene ripeterlo, rappresentano nicchie in un universo decisamente meno distorto: il neuromarketing, per esempio, è una di queste aree di indagine.

In pratica, alcuni studiosi d’oltreoceano ritengono di aver individuato, in una particolare zona della corteccia cerebrale, il centro da cui si propaga l’impulso al possesso di un bene: attraverso la risonanza magnetica sarà possibile quindi esaminare il meccanismo decisionale di un individuo e l’impatto di un prodotto, un marchio o una campagna pubblicitaria in modo molto più preciso, pare, che con gli abituali metodi di indagine di mercato come focus group e simili: alcune grandi compagnie stanno lavorando seriamente su questo tema.
 
Anche se sembra fantascienza, di qui alla fase successiva, cioè condizionare le propensioni d’acquisto del consumatore agendo sul suo cervello, il passo non è così lungo.
 
È fin troppo chiaro come tali pratiche rappresentino un limite tra lecito ed illecito, con buona pace del tanto decantato “permission marketing”, fautore di un livello di intrusione minimo (e comunque soggetto a benestare) della comunicazione pubblicitaria nella vita di ciascun individuo: legge e movimenti consumatori saranno ovviamente chiamati a dire la loro sull’argomento, visto con orrore da chi teme (giustamente) ulteriori violazioni dell’autocoscienza e della libertà di scelta.

Umberto Bisio – consulente in marketing